top of page
  • Adriana Di Nisio

UNA SETTIMANA DALLA MAGIA DI MONTESILVANO: L'INCANTESIMO NON SI E' ROTTO

Una settimana. Questo il tempo trascorso dalla finale di Coppa Italia U19. Ora, soprattutto per chi è stato spettatore, forse è più facile descrivere le emozioni percepite. Forse. Perchè quando entri dentro un palazzetto, per quanto tu possa essere distaccato e neutrale, quelle emozioni ti saltano addosso e senti di viverle sulla tua pelle. Tutto è amplificato se ti metti ad osservare. No, non il pallone o l'azione di gioco, ma le persone, i volti, gli sguardi.



Ecco. Com'è andata a finire si sa: chi ha vinto, chi ha perso, i gol, i marcatori, gli highlights. Tutto già visto. Ma quello che c'è dietro è molto di più. Allo spettatore neutrale, a distanza di una settimana, rimangono quei fotogrammi che raccontano una realtà che va oltre la partita.

Prima di iniziare l'abbraccio di squadra, da una parte i capitolini verso la tribuna cercano la carica nel braccio tatuato del mister Zaccardi che batte ripetutamente sul plexiglass, dall'altra mister Patanè che accoglie i suoi sotto le su ali. I ritmi sono alti, Morando è costretto subito a scaldare le mani ma nulla può sul vantaggio History siglato da Valenzi dopo un dribbling magistrale - e tanta generosità- di Messina.

Esultanza si, ma non troppo; incoraggiamento si, no disperazione.

Di nuovo un affondo, di nuovo gialloneri, porta trafitta dalla fucilata di Giubilei. Avanti così, ancora un altro; Calma, c'è ancora tempo per recuperare.

Sul fronte opposto, anche Prudenzi se la deve vedere con l'avanzata Orange, sventa tutti gli attacchi del duo Rivella-Ghobani tranne uno, ma c'è il palo. Benevolo o maledetto.


Com'è andata a finire si sa: chi ha vinto, chi ha perso, i gol, i marcatori, gli highlights. Tutto già visto. Ma quello che c'è dietro è molto di più. Allo spettatore neutrale, a distanza di una settimana, rimangono quei fotogrammi che raccontano una realtà che va oltre la partita.

Si torna negli spogliatoi: posto sacro, segreto, intimo soprattutto nell'intervallo; spesso è in questo posto che si vincono o si perdono le partite. Oggi non è così.

La partita nel secondo tempo non cambia volto, l'History amministra e gestisce, sa di avere il vento in poppa; l'Orange rimane aggrappato ma non riesce a trovare il guizzo. Filipponi firma il terzo gol, l'esultanza si sente più forte, la coppa è ad un palmo di mano e poi il bacio alla tribuna. A chi non si sa. Si cerca di vedere, di scrutare ma è un'esultanza generale.

L'Orange tenta il tutto per tutto, ma la porta capitolina rimane inviolata; aumenta invece lo score History con un gol di Messina. E poi la dedica. Chi è Alessandra? Lo spettatore è curioso, si fa i viaggi mentali e ammira il retroscena. La maglia con la scritta era preparata, tutta stropicciata per portarla in panchina dentro ad un pugno chiuso per non svelare nulla. E se non ci fosse stato il gol? Come avrebbe fatto Alessandra a sapere della dedica? Una dedica. In finale di Coppa. È bello ammirare come nello sport, in questi momenti di gloria personale, si pensa sempre alle persone che ci sono state vicine per essere lì. Sul gol di Messina, le treccine di Choury corrono impazzite per cercare di arrivare in porta prima del pallone ma non c'è nulla da fare. In questa immagine c'è l'ostinazione. Sto perdendo, ma ci credo. Non voglio subire un altro gol. Ok, posso perdere ma devo dare tutto me stesso. Questo avrà pensato, forse, Adberrazak. Si, perchè dopo il fischio finale non si è più un numero o un cognome sulla maglietta; si è molto altro.





Roberto che abbraccia Simone, poi è il turno di Dario che si aggrappa al collo di Simone; Alberto e Jacopo che esultano pensando alle donne delle loro dediche; poi è una mischia. Si confondono i giocatori e le braccia verso la tribuna: Alberto è quasi strattonato dai tifosi, poi si lanciano anche Gianluca, Riccardo e Davide; Luca è incredulo.

Le casacche arancioni, invece, sono ferme. Kevin si piega sulle ginocchia, Federico ha lo sguardo basso, Leonardo si tocca i capelli, chissà cosa gli frulla in testa; Hamza blocca il pallone e si ritrova davanti l'esultanza avversaria, la guarda sconsolato, fa male e si gira verso la sua panchina dove c'è Hernan che sembra onnipresente: una pacca sulla spalla ad un giocatore, una mano ad un altro; cerca di far tirare su la testa ad un altro ancora; sorride. E non è strano. È soddisfatto dei suoi. Punto. Non vuole sapere altro.

Così cala il sipario sulla Coppa U19 2020/2021. Indelebile nell'anima, in un modo o nell'altro, degli uomini prima che dei giocatori.

E poi la dedica. Chi è Alessandra? Lo spettatore è curioso, si fa i viaggi mentali e ammira il retroscena. La maglia con la scritta era preparata, tutta stropicciata per portarla in panchina dentro ad un pugno chiuso per non svelare nulla. E se non ci fosse stato il gol? Come avrebbe fatto Alessandra a sapere della dedica? Una dedica. In finale di Coppa. È bello ammirare come nello sport, in questi momenti di gloria personale, si pensa sempre alle persone che ci sono state vicine per essere lì.

Adriana Di Nisio

per We For Futsal











168 views
bottom of page